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giovedì 2 giugno 2022

“Per conoscere e amare voi stessi dovete conoscere mio Figlio” (2 luglio 2010).

 


“QUESTA È LA CHIAMATA DELL’AMORE” (VIII PARTE)

 


 

CONOSCERE E AMARE SE STESSI IN DIO

«Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi lo riceve.» (Apocalisse 2,17).

 

 

 

Partiamo da una premessa che più avanti si scoprirà come necessaria, e in particolare da questa affermazione che troviamo nei messaggi affidati a Mirjana:

 

"Il Padre Celeste è in ogni uomo, ama ogni uomo e chiama ogni uomo col proprio nome." (2 novembre 2013).

 

Certo, è bello pensare che il Padre mi conosce col nome che mi hanno dato i miei genitori. Anzi, addirittura, ha contati i cappelli del mio capo:

“Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure, nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri.” (Mt 12, 6-7).

 

Ma io ritengo che la Madonna si riferisca a un altro nome.

 

 Qual è questo nome? Non quello che abbiamo ereditato dall'anagrafe familiare, ma quello che Lui, il Padre, ha scritto nei Cieli fin dall'eternità, quando ci ha tratti dal nulla. Neanche noi sappiamo quale sia questo nome, perché lo scopriremo quando Lo vedremo faccia a faccia. Il nome nuovo rappresenta il destino eterno di ogni uomo, ciò a cui fa riferimento il Signore Gesù:

 

"Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli", disse Gesù ai suoi discepoli.” (Lc 10,20).

 

Si tratta del Nome nuovo di cui parla l’Apocalisse: il “nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi lo riceve.” (Ap 2,17). In realtà questo nome è conosciuto da chi lo consegna, cioè Dio. Questo è il nome che è scritto nei cieli?

Sappiamo che il nome coincide con la stessa essenza della persona.

Dice papa Francesco: “Il nome nella Bibbia è la verità intima delle cose e soprattutto delle persone. Il nome rappresenta spesso la missione. Ad esempio, Abramo nella Genesi (cfr. 17,5) e Simon Pietro nei Vangeli (cfr. Gv 1,42) ricevono un nome nuovo per indicare il cambiamento della direzione della loro vita.”[1]

Alla fine della nostra vita, se ci salveremo, riceveremo un nome nuovo che corrisponde alla nostra identità eterna. 

Da qui la conseguenza terrificante per “coloro che non conoscono l’Amore di Dio”, di perdere sé stessi nel caso di “perdizione eterna”. 

Vi è mai capitato di porvi la domanda: Chi sono io?

La filosofia e le scienze umanistiche risponderanno che il nostro io non è altro che l’insieme dei sedimenti legati alla nostra formazione e cultura, nonché alle nostre esperienze.

Ma la nostra religione ci rivela ben altro.

San Francesco, sul monte della Verna,  passava le notti pregando: “Chi sei tu, o Dio? E chi sono io?” («Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?» FF 1915). Egli sta chiedendo a Dio di conoscere se stesso in Lui.

 Poiché siamo fatti per vivere in Dio, la nostra piena realizzazione passa dall’incontro con Lui.

Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.” (1Gv 3,2).

 La conoscenza di noi stessi, perciò, dipende dal nostro incontro con Dio, dalla conoscenza di Dio.

Siamo fatti a immagine di Dio, e quindi solo in Lui potremo ritrovare pienamente noi stessi, e vivere la nostra identità definitiva. Il nome nuovo mi distingue da tutti gli uomini di ogni tempo.

 

È questa l’esperienza che vissero i tre pastorelli di Fatima durante la prima apparizione del 13 maggio 1917:

“Fu al pronunciare queste ultime parole («La grazia di Dio ecc.»), che [la Madonna] aperse per la prima volta le mani, comunicandoci una luce così intensa, come un riflesso che da esse usciva, che ci penetrava nel petto e nel più intimo dell'anima, facendoci vedere noi stessi in Dio, che era quella stessa luce, più chiaramente di quanto non ci vediamo nel migliore degli specchi.” ( Lucia di Fatima, Memorie, IV Memoria).

 

In questa prospettiva ci chiediamo fin dove è possibile anticipare su questa terra la conoscenza di se stessi.  In questa vita noi possiamo conoscere noi stessi conoscendo Dio, sulla scia di come i tre pastorelli di Fatima hanno visto se stessi in Dio.  Ma il mediatore della conoscenza di Dio in questa terra è Gesù, da qui la ricetta di Maria:

“Per conoscere e amare voi stessi dovete conoscere mio Figlio, mentre per conoscere ed amare gli altri dovete vedere in essi mio Figlio.” (2 luglio 2010).


Quando conosciamo Gesù, quello è il momento in cui conosciamo noi stessi, come è accaduto a Pietro. Quando Gesù chiede ai suoi apostoli: “«Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «[…] tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.»" (Mt 16, 15 -19).

Ma conoscere chi è Gesù è un evento di grazia, non è un frutto dei nostri studi o riflessioni. Gesù, infatti, a Pietro dice: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.” (Mt 16, 17).

 

E infatti nel messaggio del 2 luglio 2010, citato prima, la Madonna si appresta ad aggiungere:

“Perciò, figli miei, pregate, pregate per comprendere e abbandonarvi con spirito libero, per trasformarvi completamente ed avere in questo modo il Regno dei Cieli nel vostro cuore sulla terra”.


Nel messaggio del 2 febbraio 2011 la Madonna lascia intendere che alla conoscenza del vero Dio corrisponde anche la conoscenza di se stessi. Per questo serve la preghiera, ma la vera, quella che “proviene dalla profondità del vostro cuore, dalla vostra sofferenza, dalla vostra gioia, dalla vostra richiesta di perdono dei peccati”:

"Cari figli, vi radunate intorno a me, cercate la vostra strada, cercate, cercate la Verità, ma dimenticate la cosa più importante: dimenticate di pregare correttamente. Le vostre labbra pronunciano parole senza numero, ma il vostro spirito non prova nulla. Vagando nelle tenebre, immaginate anche Dio stesso secondo il vostro modo di pensare e non quale è veramente nel Suo Amore. Cari figli, la vera preghiera proviene dalla profondità del vostro cuore, dalla vostra sofferenza, dalla vostra gioia, dalla vostra richiesta di perdono dei peccati. Questa è la via per la conoscenza del vero Dio e con ciò stesso anche di se stessi, perché siete creati a Sua immagine. La preghiera vi condurrà al compimento del mio desiderio, della mia missione qui con voi, l’unità nella famiglia di Dio. Vi ringrazio." (2 febbraio 2011).

 

Chi, dunque, non conosce l’Amore di Dio, non conosce Dio, e se permane in questa condizione, alla fine della propria vita rischia di perdere se stesso. Questa è la tragedia di chi va all’Inferno: perdere Dio, e quindi perdere tutto, anche se stessi.

 

Vicino a queste riflessioni è Thomas Merton quando definisce la santità: “Per me essere santo significa essere me stesso. Quindi il problema della santità e della salvezza è in pratica il problema di trovare chi sono io e di scoprire il mio vero essere. Alberi e animali non hanno problemi. Dio li ha fatti quali sono senza consultarli, ed essi sono perfettamente soddisfatti. Per noi è diverso. Dio ci lascia liberi di essere ciò che preferiamo. Noi possiamo essere noi stessi, o non esserlo, a nostro piacere. Siamo liberi di essere reali o illusori. Possiamo essere veri o falsi, la scelta dipende da noi.”.  (Merton T., Semi di contemplazione, https://www.monasterovirtuale.it/ ).

 

Su questa stessa lunghezza d’onda è una sua riflessione sulla gioia: “La pienezza di gioia che troviamo nelle creature appartiene alla realtà dell'essere creato, una realtà che viene da Dio e appartiene a Dio e riflette Dio. L'angoscia che troviamo in esse appartiene al disordine del nostro desiderio, che cerca nell'oggetto del nostro desiderio una realtà più grande di quella che esso realmente possegga, una pienezza maggiore di quanto qualsiasi cosa creata è capace di dare. Invece di adorare Dio attraverso il Suo creato, noi cerchiamo sempre di adorare noi stessi nelle creature. Ma adorare il nostro falso io è adorare il nulla. E adorare il nulla è l'inferno. (  Merton T., Semi di contemplazione, https://www.monasterovirtuale.it/ ).

 

(continua)

 

Franco Sofia

 

(Estratto con aggiornamenti da: Franco Sofia, Medjugorje. Apostoli della Regina della Pace. Ultima chiamata, Mimep, 2020, Capitolo Ottavo, “Maria maestra dei suoi Apostoli”)

 

PrimaParte: LA COLONNA DI FUOCO NELLA NOTTE DELLA TENEBRA 

Sesta parte: APOSTOLI DEL MIO AMORE

SettimaParte: COLORO CHE CONOSCONO L’AMORE DI DIO


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Spunti di riflessione:

 

«O, Dio tu mi conosci, e io conoscerò te come tu conosci me. O forza della mia anima, entra in essa e rendila simile a te, così da possederla senza macchia e senza ruga. E anche se non volessi dir nulla, che cosa di mio potrebbe rimanere nascosto a te, Signore, al cui sguardo si apre l’abisso della umana conoscenza? Non potrei mai nascondermi a te: semmai nasconderei te a me! E non voglio più piacere né a me né a te se non in quello che riguarda te, Signore, che conosci quello che sono» (Agostino, Confessioni, X, 1-2).

 

«Se Dio è, anche l’uomo è, una volta che Dio gli si è manifestato. È l’incontro dell’uomo con Dio che fa sì che l’uomo, in questo contatto, si senta liberato. L’uomo veramente vive come uomo, vive in quanto la creazione e tutti i tempi non hanno la capacità di cancellarlo, di sopprimerlo, di soffocarlo, di farlo scomparire; vive, l’uomo, quando si è incontrato con Dio. Dio che si rivela a Mosè è il Dio medesimo che si è rivelato ad Abramo; ed ecco, Abramo, Mosè, questi uomini veramente “sono”. Per Mosè inizia una nuova vita: finora era uno dei tanti e non aveva una sua vita, non aveva un suo nome: Dio ha avuto un nome per lui, ed egli stesso ora ha un nome per sempre. Non per nulla la vocazione divina importa per l’eletto il cambiamento del nome: Tu (Simone) sei Pietro (Mt 16,18); non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele (Gen 35,10). L’incontro con Dio dà all’uomo un nuovo nome, il “suo” nome, il nome che gli rimane per sempre».(D. Barsotti, Meditazione sull’Esodo).

 

«L’anima non conosce il proprio nome finché Dio non la chiama, Dio solo, lui che l’ha creata, lo sa e quando Egli la chiama, finalmente essa si scuote dal sonno e conosce se stessa. Viviamo nel mondo, sconosciuti gli uni agli altri, sconosciuti anche a noi stessi.

Ci si cerca a tentoni, come nella nebbia e non riusciamo a raggiungerci. Quando Egli finalmente ci chiama comincia la vita. “Una voce: il mio diletto”. L’anima sorge, si alza, risponde. Qualcosa di simile avviene anche nell’amore umano. Per questo l’amore umano può dirci qualcosa di quello che avviene quando Dio ci chiama. L’anima sente ora soltanto di vivere, quando si sente conosciuta e amata. Finché Dio non ti chiama per nome, tu non sei ancora una persona, l’unica sposa»  (D. Barsotti, Meditazione sul Cantico dei Cantici).

 

«Io sono creato per fare e per essere qualcuno per cui nessun altro è creato. Io occupo un posto mio nei piani di Dio, nel mondo di Dio: un posto da nessun altro occupato.

Poco importa che io sia ricco, povero, disprezzato o stimato dagli uomini: Dio mi conosce e mi chiama per nome. Egli mi ha affidato un lavoro che non ha affidato a nessun altro, io ho la mia missione»  (J.H. Newman, “Quanto un Arcangelo”, in Preghiere e meditazioni).

 

«Quando Dio ti chiama per nome esprime con questo il fatto che per Lui davanti a Dio sei unico. Dio stesso ti ha creato. Tu gli appartieni. Dio si rivolge a te, Dio ti conosce per nome, conosce il tuo cuore, sa che cosa provi. Si rivolge a te personalmente e ha una relazione individuale con te. Non sei solo uno tra i tanti. Sei unico. Dal momento della tua nascita in poi il Signore ti ha chiamato per nome» (A. Grün, Ti ho chiamato per nome).

 

«Il senso fondamentale dell’esistenza è l’aver compreso chi è il Signore per me, in rapporto a me. Nel momento in cui Pietro ha detto a Gesù: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, ha scoperto anche se stesso e, infatti, Gesù gli risponde: “Io ti dico: tu sei Pietro”. Quando abbiamo capito davvero questo dialogo fondamentale, abbiamo compreso tantissime cose e potremo diventare testimoni di quel “tu” che abbiamo imparato a conoscere e che ci ha dato la conoscenza del nostro essere» (C.M. Martini, Tu mi scruti e mi conosci).

 (Fonte di questi brani:   https://rivistavocazioni.chiesacattolica.it/wpcontent/uploads/2020/02/ado_10.pdf


[1] Papa Francesco, Catechesi sui Comandamenti: 6. Rispettare il nome del Signore, mercoledì, 22 agosto 2018

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